Rincorro le foglie imbizzarrite dal vento sopra ponte Sant’Angelo. È un esercizio che evidenzia, senza ombra di dubbio, un certo buonumore. Mi capita sempre così ogni volta che prendo una direzione inconsueta! A un certo punto mi sono imbattuto in due tipi arancioni che hanno tutta l’aria di essere dei monaci. Stanno seduti in profonda meditazione uno sopra l’altro. Il più anziano sostiene il più giovane con il braccio destro che sembra fatto di ferro. Rimango sorpreso da tanto imperturbabile vigore, un tempo forse gli avrei chiesto l’autografo! Oggi mi chiedo, a chi giova una forza inerte incapace di arrivare all’altro, una vita imbalsamata dietro pallide forme, una scalata sopra le proprie cime che perde di vista ciò che piange e geme. Questo stare piantati al proprio posto, saldi come il mausoleo di Augusto, è ancora e soltanto esaltazione pagana della potenza umana … Io il cristiano lo vedo in un altro posto, appeso lassù, come l’intrepido abitatore di teste d’albero di Melville, a cento piedi sopra la coperta silenziosa a giocarsi la vita contro i più smisurati mostri del mare mentre guarda fisso l’ultimo orizzonte … Dice Dom Jacques Dupont, Priore della Certosa di Serra San Bruno, che il monaco – quindi ciascuno di noi – è come un mozzo che si arrampica sulla cima dell’albero maestro per scrutare l’orizzonte nella speranza di vedere profilarsi una riva sconosciuta. Il mozzo non è al timone della nave e il suo compito è solo quello di vegliare al posto di vedetta, è come un arco teso verso il futuro a cui anela e in qualche modo potrebbe essere definito l’uomo del desiderio …