la patria dolce

Don Fabio Rosini, nel suo ultimo libro, indica, fra le molte declinazioni del padre, la custodia. “Un padre che ti accoglie” scrive “deve dirti chi sei ma, poi, ti deve custodire”. L’atto del custodire è spiegato con il verbo shamar che in ebraico significa “sorvegliare, vigilare, fare la guardia”. E’ il verbo della sentinella, ovvero, di colui che scruta l’orizzonte per scorgere il pericolo che monta. Tale attitudine, dice Don Fabio, è l’esatto contrario della distrazione, della trasandatezza, della sciatteria. Per spiegarsi meglio cita il Salmo 128, dove la sposa è descritta come vite feconda nell’intimità della casa e i figli come virgulti d’ulivo che circondano la mensa. Il vero assente in questo Salmo è proprio l’uomo. Ma i saggi rispondono: l’uomo è la casa. La missione del padre è quindi quella di farsi mura della casa a protezione della sposa e dei figli. Ecco, lo stesso può dirsi per la patria che, non a caso, richiama l’aggettivo patrius (paterno), e anche per questo è legata a doppio filo al focolare domestico. Nel presente satollo, è il terzo incomodo delle consorterie globaliste che anelano alla sua abolizione come a quella del padre per devastare e depredare alla maniera dei Proci. Non cambierà, non cambierà. No, cambierà, forse cambierà. Si può sperare, si può aspettare, come Telemaco, sulla riva del mare, il ritorno del padre e della patria dolce

I decollati

I murales non mi sono mai piaciuti, deturpano le pareti, come i tatuaggi incisi sulla pelle. Non c’è nulla da aggiungere alla pietra ben messa, a certe facciate sgarrupate dei cortili  napoletani. Ma davanti a quel busto esangue effiggiato sotto il tunnel, ci sono rimasto inchiodato. Mi sono detto, ci vogliono proprio così: eburnei, inermi, sbudellati e decollati, scarti da museo da relegare dentro gli scantinati. In principio è stato padre Hamel, sgozzato sull’altare dagli islamisti col cellulare. Era il 2016 ed è stato come rivivere il Venerdì Santo ma, neanche a dirlo, loro l’hanno abolito il Venerdì Santo! Per loro c’è solo Domenica … Domenica è sempre Domenica! Hanno detto, the show must go on, e senza ritegno (con il cadavere ancora caldo) hanno convocato la tribù che balla alla GMG di Cracovia. Poi hanno invitato i nuovi sacerdoti del sinedrio e i loro lupi ignoranti, a pregare per la pace insieme agli agnellini innocenti. Ancora me li ricordo quei volti da sgherri, mentre sbuffavano e sghignazzavano durante la messa. Abbiamo accolto a braccia aperte i nostri novelli sicari, i nostri tagliagole ancora aspiranti. Mi sono detto, capiterà di nuovo, ne sono certo, succede sempre così a quelli che per ignavia mettono la testa sotto la sabbia… E’ ricapitato!

Fratelli tutti

L’uomo che viene da dove tramonta il sole ha scritto una nuova enciclica. Me la sono letta e riletta, alla fine, mi sono chiesto: ma, allora, c’era proprio bisogno dell’immane tragedia del Monte del Teschio, dello strazio di una Madre sotto la Croce, del grande terremoto che ha squarciato il velo del Tempio? Mi sono domandato perché, allora, quella pietra è rotolata dal sepolcro, per quale ragione i suoi amici sono fuggiti per restare barricati dentro una stanza? Poi, quando sembrava tutto finito, è arrivato quel vento impetuoso, la discesa sui Dodici di solide lingue di fuoco. Ditemi, per cosa? Soltanto per un noioso ricettario di educazione civica? Questa, soltanto questa, era la missione degli Apostoli? Per questo hanno raggiunto ogni angolo della terra? Ditemi che mi sono sbagliato, che è stato solo un brutto sogno, che nulla è davvero cambiato. Prima di allora, nessuno mi toglierà dalla testa che niente di buono viene da dove il sole tramonta …

Me la sono andata a cercare

64457157-649C-4ABC-8496-718E9EC27CA7

Questa volta me la sono andata a cercare. Nauseato dai miasmi ideologici della Chiesa cattolica, sono salito sulle prime pendici dell’Aspromonte, tra boschi di ulivi ombrosi, per visitare il monastero ortodosso dei Santi Elia e Filareto. Mi sono domandato perché un monastero in questo buco del mondo, perché reimpiantare proprio qui la Chiesa ortodossa, tra grappoli di case rotte, quando un antico passato è stato radicalmente espunto senza lasciare traccia. Forse perché il fiore di loto (il fiore più bello dell’antichità) nasce comunque dal fango, forse perché il germoglio di Iesse spunta a Betlemme, periferia della periferia del mondo. Tra me e me, mi sono detto, meglio invisibili pozzi artesiani, capaci di arrivare all’acqua, piuttosto che distese di prato inglese, imbellettate del niente, sopra discariche di rifiuti umani. Sono entrato nella chiesa, piccola come una casa, e nel nartece mi aspettava in piedi un libro di Sofronio l’Archimandrita, riposto in bella mostra dentro una bacheca. Tutto qui è curato nei minimi particolari e rimanda ad una disciplina ossessiva dell’attenzione: sedute intarsiate simili a troni, lampadari che calano dal cielo simili a pianeti, volti di santi, eremiti e anacoreti che ti fissano dalle pareti per lasciarsi tatuare nella parte più intima del cuore, nei meandri più reconditi e segreti. La Divina Liturgia si ascolta in piedi e sarebbe una perfetta palestra per i giovani sdraiati. La cantilena melodiosa dell’igumena, i turiboli che danzano in festa, i fieri occhi azzurri che si abbeverano alla coppa, mi hanno catapultato in una inebriante esperienza sensoriale sconosciuta ai sermoni immigrazionisti dei preti coi maglioni. Me ne vado felice, con la solida certezza che il sultano turco da queste parti verrebbe respinto non solo con la preghiera ma anche con la baionetta …

3E3130EF-F199-418E-85CC-057AE906D49C

 

 

 

Il campo ben arato

Questa estate l’ho passata in campagna per annusare il respiro della terra. Sono rimasto colpito dai versi di Seamus Heaney che descrivono il padre alle prese con la vanga col suo rozzo scarpone annidato sulla staffa mentre mena fendenti e affondi netti nella torba. Mi sono detto, anch’io. Dopo aver vangato, zappato e sudato, dopo aver planato su quello spicchio di suolo appena impastato, ho capito che la decantata responsabilità nei confronti del pianeta non si pratica pascolando coi cartelli nelle piazze, ma inizia proprio lì, da un campo ben arato …

I fanatici pindarici

Dopo l’ultimo voto sulla piattaforma Rousseau e l’ennesima giravolta dei cinquestelle ho pensato che non esistono più i fanatici di una volta. Avete in mente quei tipi granitici, immarcescibili, pesanti e igrugniti come i lottatori di sumo; quegli energumeni dalla tempra solida come una corteccia, capaci di non battere ciglio neanche davanti ad un plotone d’esecuzione? A costoro, nonostante la diffusa e soverchiante sterilità di vedute, non poteva essere disconosciuta una certa fascinosa imperturbabilità … Oggi invece è davvero tutto cambiato, la rete ha costruito una nuova tipologia di fanatici (la marea umana dei soldatini del “Vaffa day”, gli stolidi seguaci dell’onda). Questi potrebbero essere definiti, senza timore di smentita, i fanatici pindarici, per le loro mirabolanti performance acrobatiche. Il fanatico pindarico è quella strana creatura eternamente bambina, superficiale, epidermico, leggero come una piuma; dal carattere instabile e mutevole, incline ad assumere, senza difficoltà e pudore, le più cangianti e vorticose convinzioni. Secondo Thibon, questo nuovo mutante camaleontico è la perfetta sintesi di due vizi contraddittori: da un lato l’opportunismo, dall’altro, appunto, il fanatismo …