A me la gloria

Tutto è cominciato davanti ad un tubo catodico. Le immagini dell’Enrico V scorrevano davanti al mio sguardo bambino. Alla fine della grande battaglia di Agincourt, il manipolo di soldati al seguito del re d’Inghilterra aveva avuto la meglio sull’esercito di Francia, di gran lunga più numeroso. Dal fango riafforavano i cadaveri, e i corpi sghembi dei soldati superstiti intonavano un canto: “non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam” (non a noi Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria). Rimanevo stordito davanti a quel suono armonioso e cadenzato che seguiva la furia animale dello scontro. Per quale ragione, mi chiedevo, quei soldati stremati, scampati all’abisso, anziché attribuirsi il merito di quella vittoria, onoravano e lodavano il Signore? Dopo molti anni è arrivata la risposta nell’ultimo libro di Fabrice Hadjadj dal titolo “A me la gloria”. La logica della gloria, quella che guarda al Cielo, implica sempre umiltà e generosità. “Umiltà – dice Hadjadj – perché ricevo sempre da un altro la mia gloria. Generosità, perché la mia gloria reclama che altri siano gloriosi”. Questo testimone glorioso che si passa, da cuore a cuore, nella staffetta della vita ha una precisa origine e riconosce, un’altrettanto precisa, genealogia. Ne parla sant’Ireneo di Lione nella sua nota formula a spirale: “La gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio”. Questa meravigliosa scoperta adulta mi ha fatto sussultare di gioia … Elevati a tanta dignità siamo in qualche modo costretti a coltivare la nostra gloria come quella di Dio, al punto che Dom Jean-Baptiste Porion, monaco certosino, diceva che “la più grande umiltà sta proprio nell’accettare di diventare Dio”. Come? Voglio capire come? La clessidra non fa sconti! È l’azione che precede la narrazione o piuttosto è l’agire avventuroso che trae ispirazione dal racconto? Ancora una volta Hadjadj mi è venuto incontro. Nel Signore degli anelli, dice, Sam e Frodo si trascinano nelle terre desolate di Mordor e perdono ogni speranza. Eppure ritrovano il coraggio proprio quando pensano che la loro storia ricorda i libri dell’infanzia. Dalla memoria delle favole udite da piccoli attingiamo la forza per diventare grandi. Qui sta il cardine, la chiave di volta, della civiltà giudaico-cristiana. In principio non fu il caos indistinto, l’agire scomposto e sconclusionato, ma il Verbo.

Fratelli tutti

L’uomo che viene da dove tramonta il sole ha scritto una nuova enciclica. Me la sono letta e riletta, alla fine, mi sono chiesto: ma, allora, c’era proprio bisogno dell’immane tragedia del Monte del Teschio, dello strazio di una Madre sotto la Croce, del grande terremoto che ha squarciato il velo del Tempio? Mi sono domandato perché, allora, quella pietra è rotolata dal sepolcro, per quale ragione i suoi amici sono fuggiti per restare barricati dentro una stanza? Poi, quando sembrava tutto finito, è arrivato quel vento impetuoso, la discesa sui Dodici di solide lingue di fuoco. Ditemi, per cosa? Soltanto per un noioso ricettario di educazione civica? Questa, soltanto questa, era la missione degli Apostoli? Per questo hanno raggiunto ogni angolo della terra? Ditemi che mi sono sbagliato, che è stato solo un brutto sogno, che nulla è davvero cambiato. Prima di allora, nessuno mi toglierà dalla testa che niente di buono viene da dove il sole tramonta …

Guy Montag

 

Il giornalone fondato dal più intimo amico del Papa (lui si definisce così) ieri ha sparato fuochi d’artificio per la decisione del Ministro Speranza di somministrare il farmaco abortivo RU486 senza ospedalizzazione. In prima pagina l’articolo di fondo di Michela Marzano e il titolone “Aborto, cade l’ultimo no”, oltre a due paginone, zeppe, zeppe, di memories e autocelebrazione, hanno piazzato in primo piano (neanche fosse caduto il muro di Berlino) una non notizia. Mi sono domandato perchè, per quale ragione una simile sovraesposizione, in tempi di pandemia, rivolte libanesi, crisi dell’economia. La risposta che mi sono dato è che sono in atto le prove tecniche di trasmissione del big party che verrà inscenato, a settembre, con l’approvazione della legge bavaglio contro l’omotransfobia, quando l’apparato  repressivo ordito contro la libertà di opinione avrà spiegato per intero la sua incredibile potenza di fuoco. Tanto trionfalismo propagandistico è preordinato a dissimulare verità capolvolte in cui viene passata per conquista di un diritto comunque un fallimento; per farmaco un veleno; per il bene della donna l’aborto easy (senza pensiero, senza cura, senza riflessione); per tutela delle minoranze l’abolizione delle differenze. Il retropensiero di simili scelte è la paura dell’uomo contemporaneo, decostruito, liofilizzato, ridotto ad un pastone acritico e normalizzato, di  stare davanti al problema (il trauma dell’aborto, come anche la sconfitta o la morte), per cui l’unica soluzione diventa la rimozione del problema. E’ giunto il tempo descritto nel romanzo distopico, Fahrenheit 451, pubblicato nel lontano 1953, dove “dobbiamo essere tutti uguali: non tutti nati liberi e uguali, come dice la Costituzione,  ma tutti resi uguali”, in cui “ogni uomo deve essere l’immagine degli altri, perchè allora sono tutti felici, non ci sono montagne che li fanno tremare, cime cui devono confrontarsi”. In questo tempo, dell’infinito divertimento, di coriandoli, luci al neon e fiumi di buon vino, il pensiero è abolito, il contraddittorio è negato, i libri (causa di tutti i mali) sono bruciati dai nuovi pompieri (i custodi della pace mentale). Ma in questo tempo ci sarà ancora un Guy Montag che reciterà clandestino “La spiaggia di Dover” di Arnold Matthew:

“Ahi, amore, restiamoci fedeli! Perchè il mondo, che appare davanti a noi come una terra dei sogni, così vario, magnifico e nuovo, in realtà non ha gioia, amore e luce, né certezza, né pace, né rimedi per il dolore; e siamo in questa valle oscura, tormentati da timori e confusione, dissidi e fughe, dove gli eserciti dell’ignoranza si scontrano nella notte”.    

 

 

I lenzuoli appesi

I lenzuoli appesi dentro Santa Sofia, usati per nascondere l’icona bizantina dell’Arcangelo Gabriele e i mosaici della Vergine Maria, svelano, meglio di qualsiasi trattato, l’ipocrisia del fratellame ecumenico e l’utopia bergogliana dell’unico Dio, decostruito, destrutturato, liofilizzato, pronto all’uso e buono per ogni palato.  La distesa umana di culi proni che circondano l’antica Basilica di  Costantinopoli (la “nuova Roma”) sono preludio funesto della sistematica e suicidaria sostituzione dei popoli, messa in atto dai potentati economici e  dalle sottane vaticane, per offrire sul piatto d’argento ai neomaomettani quello che non sono riusciti a conquistare con le invasioni saracene …

I lillipuziani contemporanei

I lillipuziani contemporanei hanno scoperto che dietro ogni uomo (anche il più grande) alberga una vergogna. Se avessero letto Genesi 3,7 avrebbero capito di aver scoperto l’acqua calda. A dirla tutta, però, la loro risposta a questa creaturale evidenza lascia a bocca aperta: hanno preso a pretesto l’irriducibile bassezza della natura umana per spazzare via dalla storia l’anelito dell’uomo, di ogni uomo, alle cose grandi. Livorosi e invidiosi, incapaci di puntare a ciò che eleva, convinti assertori dell’uguaglianza che livella, hanno demolito i giganti della storia per affermare (ormai liberi da ogni senso di colpa) il loro sacrosanto “diritto” alla vita nana …

Padre Kinsella

Mi scrivi che il tuo parroco è stato allontanato per aver celebrato, al tempo del divieto, l’eucarestia con i fedeli. La cosa non mi sorprende, la chiesa del nuovo “movimento ecumenico”, ben descritta ne “i cattolici” di Moore, ha sguinzagliato i molti padre Kinsella, i nuovi inquisitori chiamati a mettere ordine, a imporre il cambiamento di rotta. Penso che i pastori abusivi non siano quelli che, contro i divieti del nuovo Cromwell, hanno continuato a celebrare sulla “pietra della messa”, ma quelli che per paura delle manette hanno abbandonato il piccolo gregge. Penso che soltanto la chiesa clandestina uscirà immune da questo virus spirituale che ha trasformato il miracolo della messa in un happening giulivo spazzato via dalla prima tempesta. Penso che i veri untori del nuovo virus siano quei vescovi inconvertiti che hanno capitolato davanti al verbo consumista secondo cui il supermercato è più importante del tabernacolo. Dio ci preservi.

Le mani avanti

 

Non riesco a togliermi quell’immagine, a cancellare quella sequenza: mio padre appena fatto cadavedere e mia madre, piccola bambina, accompagnata, passo dopo passo, dalla camera ardente fino alla cappellina. Dopo aver preso l’eucarestia il suo slancio di gratitudine voleva farsi abbraccio, ma il prete ha messo subito le mani avanti, un muro di lattice (bardato di mascherina) le ha serrato il passo. Il suo unico sorriso, appena sbocciato, è subito appassito … Mamma non fare cosi, devi capire, è colpa del coronavirus, non c’è nulla che si possa fare! Eppure non era stato lo stesso per Santo Francesco (lui li abbracciava i lebbrosi), non così per San Carlo Borromeo (lui li comunicava gli appestati), San Luigi Gonzaga poi se l’è preso il tifo per dare cura agli ammalati. Una chiesa che, al tempo del distanziamento, si genuflette, in tutto e per tutto, allo Stato Leviatano, che rinuncia a stare, come Maria, sotto la croce; una chiesa che non frena, come a Tienanmen, i carri militari che portano a spasso la morte, la sequenza infinita di cristi straziati e abbandonati senza un  abbraccio, senza un saluto, è la chiesa del tramonto.

Li pastori dormono nell’amor proprio

 

“Oimé, oimé, disavventurata l’anima mia! Aprite l’occhio e ragguardate la perversità della morte ch’è venuta nel mondo, e singolarmente nel corpo della santa Chiesa. Oimè, scoppi il cuore e l’anima vostra a vedere tante offese di Dio. Vedete, padre, che l’lupo infernale ne porta la creatura, le pecorelle che si pascono nel giardino della santa Chiesa; e non si vede chi si muova a trargliele di bocca. Li pastori dormono nell’amor proprio di loro medesimi, in una cupidità e immondizia: sono sì ebbri di superbio che dormono e non si sentono, perchè veggono che il diavolo, lupo infernale, se ne porti la vita della Grazia in loro e anco quella dei sudditi loro. Essi non se ne curano: e tutto n’è cagione la perversità dell’amor proprio. Oh quanto è pericoloso questo amore nelli prelati e nelli sudditi! … Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la sposa di Cristo è impallidita, toltogli è il colore, perchè gli è succhiato il sangue da dosso, cioè  che il sangue di Cristo, che è dato per grazia e non per debito, egli sel furano con la superbia, tollendo l’onore che debbe essere di Dio, e dandolo a loro …”

Santa Caterina

P.S.: sullo stato del clero al tempo del coronavirus …

La porta

Sai perché le parole latine hospes (ospite) e hostis (nemico), sebbene  agli antipodi, hanno la stessa radice? Perché gli antichi, pur considerando sacra l’ospitalità, ne coglievano la potenziale ambivalenza. È vero infatti che, nel mito di Filemone e Bauci, Zeus ed Ermes bussano alla porta nelle vesti di due mendicanti, ma è anche vero che quando abbassi la guardia ti ritrovi dentro le mura il cavallo di Troia. Anche nei Vangeli c’è una chiara distinzione tra chi entra nel recinto dalla porta (il pastore) e chi il recinto lo scavalca (il ladro e il brigante). Per quelli che compaiono all’orizzonte, quindi, c’è una Fortezza Bastiani da spolverare, proprio laggiù, al limite estremo, dove s’agita  la frontiera. I cattolici aperti e moderni, obnubilati dal processo di autodenigrazione e di liquidazione della propria identità, sembrano aver dimenticato questa elementare evidenza …

L’uomo che abbracciava le onde

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Non dirmi che se crolla una chiesa, una chiesa vuota,  la faccenda riguarda solo ingegneri, architetti e seriosi funzionari dei Beni Culturali. Potrei darti ragione per il crollo di un ponte, ma non di una chiesa, di una chiesa vuota … Poni attenzione. Ascolta. Se frana una montagna è forse colpa solo della pioggia? Dimmi, chi ha consentito che l’uomo abbandonasse le valli e i boschi, e la cura delle cime frondose, lassù, più su, fin sopra alle vette? Cosa faceva il padrone mentre i buoi  fuggivano dall’umile stalla? Vieni qui. Aspetta. Voglio sussurrarti qualcosa all’orecchio. Devi sapere che il padrone se ne stava lì, sulla banchina del porto, con la candida veste talare, intento, assorto, ad abbracciare le onde …