Me la sono andata a cercare

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Questa volta me la sono andata a cercare. Nauseato dai miasmi ideologici della Chiesa cattolica, sono salito sulle prime pendici dell’Aspromonte, tra boschi di ulivi ombrosi, per visitare il monastero ortodosso dei Santi Elia e Filareto. Mi sono domandato perché un monastero in questo buco del mondo, perché reimpiantare proprio qui la Chiesa ortodossa, tra grappoli di case rotte, quando un antico passato è stato radicalmente espunto senza lasciare traccia. Forse perché il fiore di loto (il fiore più bello dell’antichità) nasce comunque dal fango, forse perché il germoglio di Iesse spunta a Betlemme, periferia della periferia del mondo. Tra me e me, mi sono detto, meglio invisibili pozzi artesiani, capaci di arrivare all’acqua, piuttosto che distese di prato inglese, imbellettate del niente, sopra discariche di rifiuti umani. Sono entrato nella chiesa, piccola come una casa, e nel nartece mi aspettava in piedi un libro di Sofronio l’Archimandrita, riposto in bella mostra dentro una bacheca. Tutto qui è curato nei minimi particolari e rimanda ad una disciplina ossessiva dell’attenzione: sedute intarsiate simili a troni, lampadari che calano dal cielo simili a pianeti, volti di santi, eremiti e anacoreti che ti fissano dalle pareti per lasciarsi tatuare nella parte più intima del cuore, nei meandri più reconditi e segreti. La Divina Liturgia si ascolta in piedi e sarebbe una perfetta palestra per i giovani sdraiati. La cantilena melodiosa dell’igumena, i turiboli che danzano in festa, i fieri occhi azzurri che si abbeverano alla coppa, mi hanno catapultato in una inebriante esperienza sensoriale sconosciuta ai sermoni immigrazionisti dei preti coi maglioni. Me ne vado felice, con la solida certezza che il sultano turco da queste parti verrebbe respinto non solo con la preghiera ma anche con la baionetta …

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