Eterno Carnevale

Ho letto che il Ministro Fioramonti ha invitato i docenti a giustificare l’assenza degli studenti che parteciperanno al Global strike for future nelle vesti di pacifici manifestanti. Non c’è da rimanere stupiti, viviamo in un’epoca di piramidi rovesciate, di bari, trasformisti e giocolieri, di animatori Valtur che hanno preso il timone della nave ossessionati dalla voglia di un eterno carnevale. Abolito il padre, abbiamo maternalizzato il conflitto, omogeneizzato la contestazione che ci viene imboccata dall’alto. Vezzeggiati accuditi coccolati, siamo al capolinea di un irreversibile processo di infantilizzazione. Stando così le cose, non è difficile immaginare che, prima o poi, finiremo sgretolati da una semplice schicchera.

Radicamento

Adesso capisco perché  mi portavi sotto Campitello, tra i ruderi dell’antica Altilia, a giocare a nascondino con mio fratello. Adesso comprendo perché mi prendevi la mano per passeggiare insieme, su e giù, tra il cardo e il decumano. Volevi che respirassi quel luogo, per fissare fin dentro le narici le molecole di ossigeno che avevano abitato la pietra. Volevi educare il mio sguardo ad una forma muta, ad uno spazio vuoto, da riempire come coi mattoncini della lego: la basilica, il foro, il teatro, e sopra gli spalti le stalle, simbiotiche superfetazioni che parlavano dell’armonioso decorso del tempo. Volevi piantare nella mia giovane zolla quella radice che germoglia solo sulle colonne ioniche del tempio perché me ne prendessi cura, giorno dopo giorno, come se fosse una rosa …. Ricordo che ti lasciavo in apprensione quando scalavo le  mura della cittadella per restarmene seduto lassù, sopra la porta detta “Benevento”, piedi penzoloni, ad ascoltare il vento. Da allora mi è chiaro che non è affatto vero che le alte mura dividono, ma che, al contrario, ci definiscono, sono l’ultimo argine contro l’illimite e l’indistinto, l’ultima frontiera sopra cui sventola la nostra bandiera.

Il primo Re


Nell’ultimo scampolo di questa estate ho visto senza di te il film di Matteo Rovere dal titolo “il primo Re”. Allora te ne voglio parlare perché tra di noi non ci sia nulla che non sia condiviso. La lotta di Romolo e Remo per la conquista del cerchio (il pomerium) è innanzitutto una sfida contro la natura matrigna, fiumi che rigurgitano, boschi che respingono, desolanti praterie che attendono uomini in armi. Ma quello che più impressiona è l’impronta felina del dio pagano che smuove uccide divora e sbrana per appagare i suoi sadici desideri. Dio del terrore e dell’assoggettamento, invocato e adulato da pupi senza fili che offrono carne umana che esala incenso … Ora mi è chiaro che il terrore del sacro non ha nulla a che fare con il timore di Dio. Dice Sequeri che il timore del Dio che chiamiamo Abbà è, invece, una condizione di maturità della fede allorché viene a riconoscersi come docta ignorantia all’interno di una relazione di cura e sublime approssimazione. Insomma, è quell’audace modestia dell’autentico saggio che per quanto possa aver a lungo camminato in cuor suo sa di non avere ancora  cominciato.

Il professore e il pazzo

Ho visto sotto le stelle il “Professore e il Pazzo”. La rappresentazione cinematografica della redazione del più grande dizionario linguistico, l’Oxford English Dictionary.  Sono rimasto impressionato dalla capacità di ambizione dell’età vittoriana, dalla volontà indomita e incoercibile di cimentarsi con un’impresa impossibile. Mel Gibson, nelle vesti del professor James Maley, è un onnivoro autodidatta capace di oscurare i paludati parrucconi di Oxford. Sean Penn, nelle vesti di W.C. Minor, è un medico allucinato dalla guerra che compensa la devastante deflagrazione delle bombe con la circolazione raffinata delle parole. Tra i due nasce un sodalizio come tra due alpinisti sospesi sopra l’abisso. Maley in visita al manicomio di Broadmoor esclama a Minor “siamo una squadra!”. La risposta del pazzo sull’orlo del precipizio è: “consanguinei … fratelli”. Da lì in poi i due destini si fondono, si fonda tra i due una comunità di destino … E’ incredibile osservare come la concentrazione su un’opera che ci supera sia capace di estrarci, magari solo per un momento o per una vita intera, dalla nostra ineluttabile follia. E’ consolante constatare come soltanto la capacità di sentirsi amati sia in grado di redimerci da ciò che ci corrode e avvita …

La freccia e il bersaglio

Quando ti ho detto che mia moglie ha ritrovato il sorriso con la gravidanza, mi hai risposto che da quando  hai partorito è iniziato il tuo pianto. Non ne sono rimasto sorpreso. Un figlio vissuto come un peso, un ostacolo, un intralcio, è senza dubbio la moda del momento. Tra le tante fobie del nostro tempo, la puerofobia è la più misconosciuta, subdola e radicata, addirittura fagocitata dai media per farci liberi consumatori. Ma adesso ascolta. I maestri di Kyudo  insegnano che la freccia è fatta per arrivare al bersaglio. Se non hai fatto centro quindi devi capire che il problema sei tu, non la tua freccia … Dimmi, forse i gigli nel campo si dolgono della loro fioritura? E la leonessa non si aggira forse libera e fiera attorno ai suoi cuccioli? Tutto geme le sue doglie ma poi si compiace del frutto. Lava dunque la tua effimera malinconia, questo è il mio canto … Ancora un minuto, ascolta. È ciò da cui vorresti fuggire che ti compie. Chi è felice non si muove, diceva qualcuno. Allora, vesti il kimono ed entra nel  tatami  (il tuo matrimonio) e vivi per la freccia che ti è stata assegnata (tuo figlio) scoccandola con disciplina e amore ostinato. Solo così potrai abbandonare progressivamente il tuo ego e raggiungere, senza attaccamento, il bersaglio (la felicità che è iscritta nei nostri cuori).

il prato inglese e le cipolle

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Ho letto che Camilleri è stato tumulato nel cimitero acattolico di Roma, proprio accanto alla Piramide Cestia. Niente di strano, l’autore di Montalbano da ragazzo si cacariava a tirare le uova ai crocifissi e con l’età non è rinsavito. E’ curioso che il rifiuto ostinato di un Dio che si fa chiamare Abbà, ci porti a marcire ai piedi dell’emulo del Faraone. Come nell’Esodo, il periglioso cammino verso la libertà insinua nei cuori la nostalgia per le cipolle, magari sommersa da setole di prato inglese, ma pur sempre ruvide cipolle …

Alfie

Alfie

E’ paradossale che proprio i cristiani, ostinati creduloni del Risorto, si battano per tenere incatenata di qua una piccola vita desiderosa (come i santi) di conoscere la luminosa pienezza dell’aldilà. E’ che la vita malformata, malriuscita, sbagliata ha una speciale missione da compiere. E’ per noi, non noi per essa. Ci chiama ad un supplemento d’amore, ci impone una resa, uno sguardo fisso (come il Piccolo Principe con la sua rosa). Il forte difende l’indifeso … sempre! Oltre quest’argine di civiltà si levano i tentacoli straripanti dello Stato totalitario.

Superstiti

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Questa storia dell’oscuramento del cartellone di “Provita” mi indigna. Il messaggio ha quali destinatari quei figli indesiderati (io tra questi) che hanno avuto il culo (magari per convinzioni veterotestamentarie della madre) di non essere stati abortiti. Non capisco chi dice di sentirsi offeso al punto da invocarne la rimozione perché è proprio questa richiesta a suonare offensiva nei confronti dei superstiti (vittime dei novelli “oscurantisti”) … Alla fine dei conti mi sembra chiaro che il diritto all’aborto ha sempre di più, quale macabro contraltare, l’obbligo del silenzio.

Flatus vocis

Il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato ha avuto una grande risonanza mediatica perché è apparso come una presa di posizione della Santa Sede nel dibattito sullo ius soli.
E’ difficile credere il contrario visto che porta la data del 14.1.2018 e la sua anticipazione non aveva altra perspicua ragione. Alcuni commentatori si sono soffermati su talune gaffe del Pontefice che avrebbe citato in modo improprio il suo predecessore sull’esigenza di anteporre la sicurezza personale a quella nazionale dimostrando che nella “Caritas in veritate” Benedetto XVI si sarebbe riferito ad altro contesto, non quello dell’accoglienza. Altri hanno addirittura escluso che le parole di Papa Benedetto abbiamo mai posto in contrapposizione (o sovraordinato) i diritti delle persone emigrate e quelli dei paesi di loro approdo.
La querelle è sorta perché Papa Francesco nel suo messaggio ha affermato che dovrebbe esistere un diritto universale alla nazionalità che andrebbe riconosciuto e opportunamente certificato a tutti i bambini e le bambine sin dal momento della nascita. Questa affermazione ha fatto ritenere ai più che Bergoglio si fosse schierato in favore dello ius soli, ovvero, per il riconoscimento del diritto di cittadinanza nel luogo di nascita del bambino.
A ben vedere il Papa ha fatto invece riferimento al problema degli apolidi: le persone prive di qualsivoglia cittadinanza.
Ora, sebbene il Pontefice nel suo messaggio si sia rivolto urbi et orbi, ogni riferimento, stimolo o suggerimento al Legislatore italiano (come lascia intendere la scelta della sua anticipazione) può dirsi inappropriato. Proviamo a capire perché!
Intanto, il bambino che nasce in Italia da genitori migranti, in base all’ordinamento vigente, non è privo di nazionalità ma ha quella dei suoi genitori.
Vi chiederete, ma quelli che una cittadinanza non ce l’hanno che fine fanno?
L’art. 1 della legge 5.2.1992, n. 91, afferma che è cittadino per nascita anche chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ed è quindi lui stesso apolide. Allo stesso modo, è cittadino per nascita il figlio che non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono. Quindi, non si venga a dire che l’introduzione dello ius soli si rende necessaria per contrastare l’apolidia dei migranti. E’ una bufala colossale!