Skellig Michael

O light the candle, John
The daylight has almost gone
The birds have sung their last
The bells call all to mass

Sit here by my side
For the night is very long
There’s something I must tell
Before I pass along

I joined the brotherhood My books were all to me
I scribed the words of God
And much of history

Many a year was I
Perched out upon the sea
The waves would wash my tears,
The wind, my memory

I’d hear the ocean breathe
Exhale upon the shore
I knew the tempest’s blood
Its wrath I would endure

And so the years went by
Within my rocky cell
With only a mouse or bird
My friend; I loved them well

And so it came to pass
I’d come here to Romani
And many a year it took
Till I arrived here with thee

On dusty roads I walked
And over mountains high
Through rivers running deep
Beneath the endless sky

Beneath these jasmine flowers
Amidst these cypress trees
I give you now my books
And all their mysteries

Now take the hourglass
And turn it on its head
For when the sands are still
‘Tis then you’ll find me dead

O light the candle, John
The daylight is almost gone
The birds have sung their last
The bells call all to mass

“Skellig” di Loreena McKennitt, dà voce alle ultime parole di un monaco vissuto nei romitori a forma di alveare arroccati sull’isola di Skellig Michael (Irlanda).

“A Cuor Contento”

giovanni-lindo-ferretti

Sono un certosino, certosino metropolitano. Vivo nella periferia romana aggrappato alla Chiesa che nutre e avvolge. Moglie e un grappolo di figli tra terra e cielo, uno in pancia … presto sarà un volto, un nome, una promessa di vita eterna. Esco dalla mia cella per l’orazione notturna. Questa è la notte del canto intonato da Giovanni Lindo. Rispondo alla sua chiamata, rispondo al suo appello: “fatevi avanti, monache e monaci, famiglie in carne e sangue d’amore, santi, poeti, eroi, navigatori astrali” … Sono qui per cercare i fratelli, altri solitari del chiostro, quelli che si ritrovano in cerchio davanti a un amico che vola in cielo, quelli che sgranano rosari davanti alle sale parto, quelli che hanno l’ardire di fare presepi nei luoghi straziati dal dolore e dal pianto … “la nuova età di mezzo è già in atto, tocca a voi l’onere e l’onore di traghettarla al poi” … Arrivo al locale primi ‘900 all’Ostiense, apro la porta dell’armadio e mi ritrovo catapultato nel paese di Narnia, dove è sempre inverno e mai Natale, un bunker buio pesto che nega la vista al cielo e alle luminose stelle, simile al cubo-incubo, senza Cristo senza Croce, di Fuksas. Sono tutti lì, sotto il palco, i simpatici abitanti di Narnia, c’è il fauno Tumnus, dalla cintola in sù uomo, fianchi e gambe di capra, lo chiamano punkbestia ed è molto esagitato, ci sono sciami di Nanetti Rossi, pelosi abitanti del sottosuolo, c’è la  signora Castora, borsa di Fendi e pugno chiuso, vanità delle vanità, tutto è vanità! Speravo altro, ma ci s’accontenta … Sul palco, una grande tavola di pietra, compare Giovanni Lindo e canta

“Se l’obbedienza è dignità, fortezza / la libertà è una forma di disciplina / assomiglia all’ingenuità la saggezza

Tumnus danza, da una parte all’altra del palco, danza, sfatto, disfatto, strafatto, danza. Si dice libero, liberato dal giogo di Cristo … Libero di schiantarsi al suolo senza paracadute … e non mi sembra una conquista!

Indifferenti al mistero che ci nutre e ci avvolge / schiavi delle voglie, sensibili e patetici … fecondi d’aborto e / democratiche soluzioni eutanasiche

Giovanni Lindo si muove sul palco come un maestro di Aikido, usa l’energia dell’avversario per andare avanti ed entrare nel suo spazio

Sogno Tecnologico Bolscevico / Atea Mistica Meccanica / Macchina Automatica – no anima / Ecco la Terra in Permanente Rivoluzione / Ridotta imbelle sterile igienica / Una Unità di Produzione

Cantano tutti in coro, braccio teso e pugno chiuso, io rimango in silenzio … non conosco le parole! Dopo una serie di evoluzioni circolari il maestro arriva al centro dell’avversario, prima lo destabilizza, poi lo stende …

Il Dio d’Abramo Iddio / L’unico Dio ch’io adoro / Misericordioso Dio / Giusto clemente Dio / Onnipotente Iddio / L’unico Dio che io adoro …  Signore Dio bambino / Carne di ragazzina vergine e madre / A Lui io rendo culto / Lui mi rapisce il cuore il mio Signore mio Dio

Aveva promesso di non parlare e invece queste le sue parole annotate sul mio taccuino

Sconnessioni temporali, polaroid da un’altra vita, un’altro secolo, altro millennio  … io urlavo sempre, un nervo scoperto, un’inquietudine fatta corpo, stati di agitazione in forma di canzone, non professione d’arte ma impulso vitale …  lo soffocammo tra i calcinacci del muro di Berlino e dissi mai più …

Si definisce residuo salmodiante, che sussurra, modula, scandisce manciata di scongiuri, preghiere, grazie ricevute, maledizioni, invocazioni … cerimoniere di un rito a cuor contento che canta il sangue, la fede e la gioia.

In “cronaca del ritorno” parla di sè ma anche della mia storia. La canto a squarciagola sul motorino sotto il casco nelle belle giornate di sole.

Canto ballo rido, allegro mi dispero / montano italico cattolico-romano a cuor contento / nel tempo dello smarrimento / scampato a gelate precoci e / a infestazioni a parassiti / alla rancorosa sequela delle rivendicazioni    

Si spengono le luci sul palco e mi dirigo verso l’uscita quando incontro finalmente un figlio di Adamo. Ha frequentato la stessa grotta, l’utero che ci ha generati, prima io, poi lui

Non c’è lama che possa recidere la languida catena

GENERAZIONE SU GENERAZIONE

Per mille anni …